La Suprema Corte, con la pronuncia 21870/2011, ribadisce la linea dell'inesistenza sia di una presunzione di destinazione alla spaccio in ipotesi di sostanza stupefacente detenuta, (ove eccedente i limiti tabellari introdotti con la novella del 2006), sia della possibilità di inversione dell'onere della prova, con addebito al detentore dell'obbligo di dimostrare la destinazione del compendio ad un uso esclusivamente personale. La critica dei Supremi giudici di legittimità attinge, infatti, un orientamento, il quale confligge con il dettato del comma 1 bis dell'art. 73 dpr 309/90
e con la sua costante interpretazione giurisprudenziale. Detta norma contiene, non a caso, tutta una serie di paradigmi ermeneutici idonei a permettere di chiarire se la detenzione sia imputabile ad un fine di assunzione personale dell'agente, oppure se il possesso della droga, da parte dell'agente, non si esaurisca tanto in termini di soddisfazione propria, quanto piuttosto che la sostanza possa essere destinata – in tutto od in parte – a favore di terzi acquirenti o cessionari. Come pacificamente sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità (V. da ultima, sul tema specifico, la VI Sezione, sentenza 28 febbraio 2011, n. 7578) neppure la problematica della individuazione del titolo in base al quale il soggetto detenga lo stupefacente, può sfuggire, (né sfugge) alla regola generale dettata riguardo all'onus probandi. Consegue, pertanto, la naturale – quanto ovvia - considerazione che i parametri contenuti nel citato comma 1 bis dell'art. 73, costituiscano specifici strumenti valutativi, di carattere probatorio, i quali, se osservati dal punto di vista del P.M., devono assolvere alla funzione di dimostrare – al di là di ogni ragionevole dubbio - l'uso non esclusivamente personale cui la droga è finalizzata. Per converso – come più volte ricordato – per la difesa, invece, la attuale giurisprudenza non contempla affatto un onere probatorio di medesima natura processuale o, comunque, identico a quello attributo alla pubblica accusa. Colui che, infatti, rivendichi il possesso di sostanze stupefacenti, per un fine esclusivo di assunzione propria – escludendo, quindi, l'ipotesi di cessione a terzi – può, a propria scriminante, esercitare una facoltà di allegazione. Vale a dire che viene, così, azionato un vero e proprio diritto potestativo atto e tendente a paralizzare – contraddicendola – ogni deduzione di accusa, che sia geneticamente finalizzata a conferire valenza di illecito penale ad una condotta che, invece, può risultare del tutto irrilevante sotto tale profilo giuridico. Ad opinione della Corte di Cassazione, l'imputato, dunque, continua a non essere onerato alla dimostrazione della propria non colpevolezza, in ordine alla detenzione di sostanze stupefacenti, perchè, ove un simile sorprendente principio processuale fosse repentinamente accettato, ci si verrebbe a trovare in una situazione di abnorme inversione dell'onere della prova, con violazione di una delle regole codicistiche più importanti nel contesto del diritto di difesa e vulnus del contraddittorio fra le parti del processo. (Altalex, 7 giugno 2011. Nota di Carlo Alberto Zaina)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE VI PENALE Sentenza 3 marzo – 1° giugno 2011, n. 21870
(Presidente De Roberto - Relatore Ippolito) Ritenuto in fatto 1. Con la decisione impugnata la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza datata 18.10.2007, con cui il Tribunale di Lamezia Terme aveva condannato L.D. M. alla pena di un anno, quattro mesi di reclusione ed Euro 3.000 di multa per il reato di cui all'art. 73.5 dpr 309/90, commesso il 25 novembre 2005.
2. Il ricorrente deduce, ex art. 606.1 lett. c) ed e) c.p.p., violazione dell'art. 73 dpr 309/90 e relativo vizio di motivazione per avere la sentenza affermato la colpevolezza dell'imputato pur in mancanza di prova sulla destinazione di gr. 4,8 di eroina detenuta (per complessivi 713,4 mg di principio attivo) ad uso non esclusivamente personale. Considerato in diritto
1. In accoglimento del ricorso e della conforme richiesta del procuratore generale d'udienza, la sentenza va annullata, mancando una plausibile motivazione della ragione per ritenere che l'eroina detenuta dal M. fosse, almeno in parte, destinata a terzi.
2. I giudici di merito hanno preso in considerazione soltanto il dato quantitativo, mentre il superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l'onere della prova a carico dell'imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Cass. Sez. 6, n. 12146/2009, Delugan; n. 40575/2008, Marsilli; n. 27330/2008, Sejjal).
3. Si dispone, pertanto, il rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro per nuovo giudizio. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro per nuovo giudizio.